31 aprile. Il male che non muore mai. Il nazifascismo secondo lo scrittore Giuseppe Cesaro
Un interessante novità editoriale che, attraverso un bel romanzo affronta un problema endemico e che sottotraccia ogni tanto affiora: il nazifascismo.
Un buon romanzo, in linea con la produzione letteraria degli ultimi tempi, scritto da Giuseppe Cesaro, giornalista di lungo corso, qui alla sua seconda fatica letteraria.
A fare da sfondo alla vicenda, un buon argomento, un movimento neonazista, che vuole ripercorrere i “fasti” del passato. Un gruppo di giovani, esaltati e manipolati, semina terrore e morte nel Paese, dall’altra parte un tentativo di erigere una sorta di mausoleo, all’interno di una vecchia residenza, appartenuta ad un alto gerarca nazista, condannato a morte dal processo di Norimberga. La residenza, a suo tempo, era stata utilizzata sia come lager, sia come luogo di morte degli ebrei.
Una brava giornalista, già autrice di inchieste interessanti, delegata dal direttore del suo giornale ad indagare sulla vicenda. Malgrado qualche tentativo di dissuasione, Vera, questo il nome della giornalista, prosegue le sue indagini e, tra appuntamenti segnati dal mistero e dalla circospezione, incontra personaggi strani, e dalla vita segnata. Incontri che le consentono di capire da dove trae origine il movimento, chi ne sono i protagonisti, chi gli ideatori, chi i mandanti, come al solito, nascosti nell’ombra.
La storia, raccontata con un certo pathos, si intreccia con rapporti segnati dall’amicizia e dall’amore, per le proprie idee, i propri ricordi, i propri sentimenti. Il tutto condito da un ritmo appassionante, che fa assumere a tutta la narrazione, i tratti di un vero e articolato thriller, decisamente coinvolgente.
Qualche ripetizione, e qualche inutile lungaggine, non rovinano la buona qualità della scrittura e del libro nel suo insieme. Scomparse improvvise, solitudini evidenti, paure, sconforti, illusioni, sorprese, accompagnano il lettore in un crescendo di emozioni, fino a un finale per niente scontato e, direi, decisamente interessante.
Il libro si lascia apprezzare, anche, per il modo con cui risaltano, in maniera opportuna, personaggi del presente e del passato, con le loro illusioni, e le loro disillusioni. Primeggia, su tutti, Vera, la giornalista. Ritratto di donna di straordinarie qualità, dal carattere deciso, ma accompagnato da altrettanto intelligente discernimento. Vera scopre, sulla propria pelle, come sia facile sbagliarsi nei giudizi sulle persone, quando siamo coinvolti sentimentalmente. Ed è, questo, qualcosa che riguarda ognuno di noi. E ricordarcelo è un altro merito del libro.
Il libro, che ho apprezzato molto, può essere condensato in queste due frasi: “La storia è come la musica, Vera: ognuno la interpreta come vuole (pag. 160), e in questa di Demostene: “Nulla è più facile che illudersi”.(pag.118). Pensiamo a tutta la vicenda storica del nazifascismo, alla idolatria per la razza ariana e, dall’altro lato, al dramma degli ebrei.